“L’altra mano” è una e tante storie umane insieme, personale e collettiva, unite dai corpi, voci alte, animali stanchi e finestre aperte sugli astri lontani. Gli sfondi si susseguono, si ascoltano e si ripetono allo sguardo di chi vi si affaccia: i giorni vissuti sono tutti da ricostruire. Le parole nutrono i terreni nuovi e quelli già usati. Gli incontri nascono fra parole dimenticate e si isolano fra toni sottesi alle regole dei sensi umani. L’amore tartaglia come può, per far sopravvivere le speranze oltre i ricordi, gli universi prima dei mondi. L’amicizia si esalta, fino a condannarsi al dolore impregnato nelle mura condivise. Il corpo fa memoria eterna, tra i dolori terrestri e il ciclo continuo dei movimenti di una natura, pronta a cullarlo. I passati disgregano le membra, mentre i sensi son sempre pronti a coccolarle.
Accettami con le voglie basse,
quasi squallide alle orecchie
del cucuzzolo,
le gote in fiamme,
quasi fossi da spolverare
fino all’incendio,
accettami se puoi spavaldo
e battitore di frasi, mentre carezzi
i miei seni
per farli pieni. Accettami
felice
di tener la mano alle imperfezioni
che indosso come
fossero seta.
Accettami
con i capelli sciolti,
senza raccogliere
parrucche da portare,
con il viso sporco
del mattino.
*
Vorrei baciarti
sul cuore,
per togliere le pelli secche
del tempo morto
con i ruvidi corpi
passati sul tuo.
Un bacio per ritrovarti
felice, con l’occhio acceso
dalle mie pupille colorate.
Penso a baciarti
finché smetti di dar
tormenti a un corpo
stanco di voltare le delusioni.
Ti bacio anche di notte,
stesa, sola
al ricordo del tuo corpo
a proteggermi.
Amor andato,
vai e torna
dove l’amore cresce a grandi radici,
sempreverde,
alla spiaggia.
*
Non trovo la pace
tra le foto
dei mesi passati,
c’era l’incontro
di corpi intensi,
e solo un cuore
a ballare,
un cuore a mancare,
a nuotare a vuoto,
inquieto.
Volevo insegnargli
la luce libera,
non sapevo,
che non si può
imparare
a sapersi tenere,
senza curarsi
dell’altra mano,
lontana,
dal cuore inquieta.