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Carri di visioni

Autrice: Francesca Ricchi
Prefazione: Arnaldo Colasanti
Collana: Interno Versi
ISBN: 979-12-80138-23-1
Data di pubblicazione: 15 giugno 2022
Pagine: 144
Formato: 13×19 cm

15,20

Product ID: 7618 Categoria:
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“Carri di visioni” è una ricerca sfinita di gioia. Come tale, è una battaglia: contro l’assedio del mondo; contro gli aculei della mediocrità e dell’ipocrisia; contro le paure che fanno servili e feroci gli uomini, sottraendo l’unica qualità possibile del vivere: appunto, la gioia, la bellezza dello sguardo. Questo libro, scritto in vari anni di silenzio, vuol dire affidare alla poesia tutti i discorsi sul mondo. E non perché la poesia sia la scorciatoia della consolazione o peggio la via futile per imbrogliare gli indizi e le trappole della realtà. Al contrario, la poesia, se è vera, deve continuare ad essere un cratere aperto per capire ciò che siamo e quello che possiamo davvero vivere per non perdere noi stessi.

 

La terra ricama il limite sull’abisso
ogni certezza poggia sull’eterno precipizio
non sapendo
se nasca dalla resa il crollo
o sia l’innalzarsi stesso
a necessitare la caduta

 

*

 

La scultura

Le tue mani accampano il cielo
fermano i pianti
da rendere arte se troppo atroci
e trascinano azzurro e acque in trasparenza
per forgiare il mio busto
ripassano ogni curva con tanto ardore
che infine ti scotta
ma non mi lasci cadere
qualsiasi mia forma
si implora mai finita
i solchi ossessivi
sono un insperato piacere
alla ricerca non di perfezione
ma di strillo animato

Faccio pace col necessario
in un cesto di magia
tua scultura
tanto delimitata
quanto ricolma di orizzonti
a ogni spinta delle tue dita

Alle spalle doni tonda morbidezza
mi stupisco di sentirti gemma
quasi io divenissi un gelo
che si può intagliare
i pollici incidono tortuose verità
fra le scapole
come potere di inarcare l’argilla alla vita
quella nuova che avevo implorato
meno trafitta
più diffusa
dopo la stremata corsa
in fuga dai lidi spinati

Sul collo gli indici ricalcano cavità
da cui saltano increduli grilli
o si posano colibrì a meditare
e sconfinano in canali
tra lo svanire e l’esserci
di echi curvi e pareti scoscese
poi li riempiono in carezze
così profonde sui palmi appena nati
da percepire un impossibile sangue
impazzire nella via del ventre
mentre i fianchi diventano padroni
seducendo le opportunità dei confini
nelle tue mani
non per questo meno celesti
nelle striature incandescenti e dorate
che non si sa più cosa sia un fianco
senza una stretta a inverdire
la miriade in candore e ali
irrorate di vita

Non vorrai lasciarmi senza gambe
è sempre la coscia a pretendere di più
non è mai abbastanza affusolata
mai sazia
non le basta una leggera pressione di lato
vuole un tormento intero
profondo
a ricreare un luogo senza ritorno
incustodito
impregnato di trappole e incantesimi
che non aprono la stretta
e una mano l’hai perduta
le ginocchia sono un gioco
le caviglie ruotano la giostra
dei sensi
e le loro piccole ossa
perfette per ogni tua bocca

Ti resta una mano sola
i miei piedi sono due
emergono da soli
per stringerti la testa
che non ha mai nascosto
di abitare oltre l’orizzonte
quanti millenni sono che mi spii
hai fatto male a disegnarmi le labbra
ne scaturisce una voce
una lingua ricamata
di statua immortale
che scandisce un conto alla rovescia

Sono sgorgati perfino gli occhi
per tormentarti o venerarti la notte
il tempo è poco
è un momento travolgente
si direbbe
oppure immobile nel tramonto placido di grida
cosa sia una divinazione
chiamata amore

Comprendo e lambisco i limiti
senza invadere in assetto di possesso
ascolto plurime diversità
e connetto dimensioni
mentre si imbeve di sfere l’amore
parola colma
che non si svuoterà fino a ridursi
alle sue inutili lettere
mentre mi arrotoli la testa
le stesse lettere si annullano per compiersi
in significato
si crea un vortice che rigira la tua mano
e finendo in devozione
anche lei scompare

Sono la tua forma animata
ti ho divorato le mani
ora ostaggio nel mio grembo
imperfetta a tratti torbida
magari seducente
avvelenata e cosparsa di miele
profumata solo per stordirti
ladra di un respiro che riempie il petto
la scultura esplode la realtà
non esiste sola
e tu non potrai più farne ancora

Nota biografica

Francesca Ricchi è nata Bologna, vive a Roma. È laureata in Giurisprudenza con indirizzo in Criminologia. Ha pubblicato la raccolta di racconti Soli di notte (Mobydick, 2000), di cui il racconto Domani è stato pubblicato in America Latina. Ha inoltre pubblicato la raccolta poetica Aculei (Controluna, 2018), il romanzo L’incanto dei morti (Emersioni, 2019), il romanzo per ragazzi XTrappola-Pirati di Anime (Verduci, 2015), il poema Estranei (Sonzogno, 2001) e i racconti Io e musica (2001) ed Educazione Universitaria (2002). Con il testo I passi della vita ha vinto due premi: il Premio Internazionale Minturnae (2021) e il Premio Internazionale Alexander Pushkin (2021). Con il testo L’incanto dei morti è arrivata seconda al Premio Internazionale del Mediterraneo – Fondazione Carical. Sezione Narrativa (2020). I suoi interessi critici vanno dalla letteratura inglese romantica alla poesia russa di inizio Novecento. Collabora con la rivista “Pangea”.