Con uno sguardo disilluso e strenuamente innamorato del mondo, Roberto Lamantea consegna un libro di quieta potenza, un canto consapevole, come riporta nella prefazione Giovanni Fierro, “di chi sa che la poesia vive di fiducia nella parola e di intensità di vivere”. “Poeta lontano da ogni moda contemporanea”, scrive nella nota finale Umberto Piersanti, per sottolineare come il percorso poetico di Lamantea sia educato all’indipendenza, alle parole scelte con la cura di chi sa che la bellezza è un inganno «industria / polline di metallo […] nebula d’acidi arcani» che dà vita a una «poesia geneticamente modificata». Lo sguardo del poeta si rifugia nel «sottovoce di bosco», cerca «l’imo del limo», vuole «rinascere terra», sogna la «neve fantasma» che lo cullava da bambino. Il paesaggio, così caro alla poesia d’ogni luogo, è «volato dove / non c’è più / neanche il più». Ma tra cantilena, fiaba, filastrocca, nella danza di rime e assonanze, è ancora possibile trovare tracce di un paesaggio antico, di un canto smarrito nel bosco fatto di «parole piume / parole viandanti» rimaste dall’infanzia a giocare con noi. Anche se la coscienza della storia e di una violenza da sempre identica ci ricorda che «hanno tolto gli occhi / alle parole» e non c’è più il cielo, il sogno non muore, «ostinato a vivere dalla beltà rapito».
neve nevosa
neve pleonasma
neve furiosa
neve fantasma
ovatta di neve-fiaba
e dov’è la neve? Era
il paesaggio saggio
un paesaggio foraggio
di primavere
neve nevina neve bambina
e io bambino?
bambino senza neve
era così breve
il paesaggio
innevato giocato sognato
ora volato dove
non c’è più
neanche il più
Zakhor
hai di legno le mani
le pietre disegnano
il tuo corpo
eri vivo e di vita vivevi
nient’altro che luce
scolpivi nell’aria
hai di legno le mani
è di ferro l’aria e di gesso
il canto
di ferro e terra il grido
il nido
Arrivare in treno verso sera
con il cielo che accenna al viola
e le scaglie di luce sul mare
quando chi è solo accenna una preghiera
La strada a piedi fino a casa
l’aria tiepida di primavera
d’Imperia lasciando la scogliera
le agavi e i pruni sulla terra rasa
E il silenzio m’avvolge come un manto
con l’odore del legno e della cera