Se lo scrivere è figlio della necessità di fermare, deliscare l’evento per riuscire ad ottenerne il commestibile, il fruibile, tutto ciò che non viene eliminato, ciò che resta, Le rimanenze, non sono altro che la sostanza insindacabile di un avvenimento, la pura materia poetica, l’essenziale dentro il quale Giulia Fuso, in questa nuova raccolta, si muove con una destrezza e un afflato lirico e drammatico, pienamente consapevole dei propri mezzi, delle proprie cadute. Come indica Francesca Genti nella nota finale, in questo libro i versi sono “illuminati da una luce abbacinante, non sempre piacevole, poiché la consapevolezza acuta del mondo non può donare serenità assoluta. Il dolore è un maestro e la poeta lo segue su sentieri impervi e interni claustrofobici, senza paura e senza l’orgoglio che appartiene agli stolti”.
So dire di ottobre
la struttura delle parole
l’odore della stanza quando taci
e dici con gli occhi le vocali che non riconosco
che non conosco, come non so
l’orario della tua fame e l’orario della tua sete
come non conosco il passo
le scarpe nel cassetto che tieni pulite
la memoria che usi per ricordarmi
avendomi, pur non avendomi mai avuto.
*
Sto sotto tutte le cose
senza aggettivi stavolta
sto sotto tutte le cose
e tutte le cose mi stanno sopra
mi faccio minima per entrare
sotto tutte le cose sopra l’orecchio
per provare a combattere ancora
questa battaglia con la resistenza
per essere nata e dovermi
ancora a lungo mantenere.
*
Sei una casa amore mio
con pareti di peli e nervi
dove tintinnano le cose
spaventate e occluse, come te
affannato al tavolo da pranzo
uccidi mosche e dici
forse domani, forse martedì
quando oggi è il giorno
per il resto, sarà.