La nuova raccolta di Cinzia Demi, pubblicata a cinque anni dall’ultima prova in versi, si rapporta con un nuovo archetipo, quello della Matriosca. “La causa dei giorni” è un libro frutto di una poetica dell’esperienza basata su fatti, avvenimenti e sentimenti che provocano un determinato effetto che, a sua volta, dà origine a un altro fatto, in una sorta di concatenazione di eventi: ogni passaggio della vita si collega così inevitabilmente al precedente e al successivo, e ne trae forza o debolezza senza scampo. Affiora alla lettura il paesaggio con le sue luci, i suoi odori, le sue asperità, il ciclo delle stagioni, gli slanci, le attese e le delusioni che il tempo infligge. Il ritmo della poesia, per Demi, è come il ritmo del suo respiro e del suo sentire, spezzato dalle vicende della vita.
ma il tempo è un giardino
dove passano colori e stagioni
e la terra si apre ai fiori
ai sapori dei frutti bagnati
alla volontà del vento
seduti di fronte
risento il tuo fiato accaldato
di bimbo rivedo le gote
rosse dei prati ma gli
occhi sono voli mutati
sono come uccelli che
sanno i pensieri del mondo
riempiono i cortili di battaglie
e grida una sfida alle
faglie alle vampe dei fianchi
*
l’uva dal vino buono
e intanto
bruciavi per quel volo
naufraga del male
di un coraggio che manca
di un moto un calore
di un dio che torna uomo
e non lo puoi toccare
fallo tu quel gesto dicevi
daglielo tu l’amore
tutto l’amore del mondo
riempi la sacca di stelle
il marchio dei tuoi baci
l’erba che straripa
dal tuo sangue di luce
*
fummo solo un ritaglio di tempo
un barattolo aperto
scoperchiato dal vento
un vento che pareva forte
come il maestrale
che muove le onde
sino a farle salire
alle scale della banchina
fummo solo un vuoto d’aria
un riccio ucciso
sul ciglio del fosso
da una macchina sbandata
sulla carreggiata bagnata
bagnata da una pioggia di sale
sale grosso a ricoprire
ogni singolo gesto e l’avvenire
fummo solo un innesto
venuto male un germoglio
mai nato un fiore non sbocciato
cantavamo un inno di lode
una frode allo spirito
ribelle sulla pelle solo
l’erba sembrava attecchire
e il profumo restare sul prato
fummo una bandiera
dissolta nello scirocco
nel caldo appiccicoso
della sera una primavera
ritardata l’estate fredda
di San Martino
coi nostri morti a pregare
per l’indulgenza del mattino
solo l’autunno portò pace
portò il silenzio
delle foglie cadute
spense la voce
nel rosso dei viali
e il male sembrò
un poco più lieve poi
venne coperto dalla neve